Militari catturati in Africa dai francesi e i dati del parmense

Considerazioni preliminari

 

Sulla prigionia francese bisogna tenere conto di alcune considerazioni preliminari. In Africa, l'Italia aveva come avversari la Gran Bretagna dal giugno 1940, e dal dicembre 1941 anche gli Stati Uniti. La Francia, con cui aveva firmato l'armistizio il 24 giugno 1940, non era ritenuta ufficialmente in guerra contro l'Italia. Le truppe della France Libre, che combatterono contro gli italiani in Africa, non erano quindi riconosciute dai comandi italiani come nemico di guerra, ma come truppe irregolari. Era questa una posizione condivisa dagli alleati tedeschi e per molto tempo dagli stessi comandi americani che rifiutarono di riconoscere il comitato della Francia libera capeggiato da De Gaulle. Lo status incerto dei gaullisti fu alla base dei maltrattamenti contro i prigionieri francesi catturati dalle truppe dell'Asse, o dei massacri contro di loro perpetrati come la fucilazione di tutti i prigionieri catturati dagli italiani durante l'assedio di Tobruk. Il non riconoscimento del governo francese e delle conseguenti esecuzioni dei suoi soldati fu un problema non risolto, che si ripresentò nel maggio 1943. Sin dagli sbarchi Alleati in Africa settentrionale nell'autunno 1942 il contributo dell'esercito francese nella zona era influenzato dalle divisioni interne alla politica francese. L’invasione anglo-americana in territori ufficialmente fedeli al governo di Vichy aveva portato divisioni tra la popolazione francese. Non era chiaro se le truppe francesi fedeli a Vichy fossero decise a combattere contro truppe francesi gaulliste. Le esitazioni francesi agli sbarchi, portarono ad un serie di complotti e di inganni, culminanti con l'assassinio dell'ammiraglio Darlan (il quale aveva firmato un accordo con il comando alleato il 9 novembre). Nei primi mesi del 1943 i francesi del nord Africa si schieravano chiaramente a favore dell'esercito degaullista. Prendendo parte con gli Alleati l'esercito francese nel fronte settentrionale contribuiva alla caduta delle truppe dell'Asse.

 

Dove furono catturati?

 

Prima che la campagna in nord Africa iniziasse, il governo americano e inglese si erano accordati perché i prigionieri catturati in queste operazioni fossero completamente consegnati agli americani. Gli impegni presi non vennero mantenuti dagli inglesi che tennero una parte dei prigionieri catturati, mentre gli americani diedero circa 18.000 dei loro prigionieri italiani all'esercito francese. Questi ultimi erano concessi ai francesi per sopperire al vuoto di manodopera, creato dalla chiamata alle armi del generale De Gaulle. Una mobilitazione riuscita, a cui aderì il 16% dell'intera popolazione maschile francese del Magreb. Per questa ragione i comandi francesi chiesero ai comandi anglo-americani dei prigionieri. Sommati alle migliaia di italiani catturati dai francesi, questi avrebbero mantenuto in vita l'economia coloniale dell'Africa settentrionale Francese.

 

Dove vennero condotti in Prigionia?

 

Contro le norme internazionali i francesi si appropriavano di prigionieri che non gli spettavano di diritto. Il passaggio di detenuti da una potenza all'altra, andava contro l'art. 2 della Convenzione di Ginevra, che decretava: “i prigionieri di guerra appartengono alla potenza nemica, e non ai singoli individui o alle truppe che li hanno catturati”. La non chiara collocazione delle truppe di De Gaulle nei rapporti tra gli stati in guerra aggravava ancora di più le condizioni di questo “affido”. Questa “ingiustizia” originaria per alcuni prigionieri italiani sotto le truppe francesi fu spesso causa di risentimento nei rapporti tra le due comunità. Gli stati dell'Asse inoltre non avevano contatti per proteggere i loro prigionieri; non avendo riconosciuto il governo gaullista. Per questa ragione la Croce Rossa divenne l'ente protettrice dei prigionieri italiani e tedeschi catturati dalle forze armate francesi in nord Africa. Il numero di prigionieri italiani detenuti dai francesi, si aggirava verso la fine della guerra intorno ai 65.000 uomini (41.327 nel 1943). Di questi, tra 35-38.000 erano detenuti in: Algeria, Marocco, Tunisia.

 

Trattamento dei prigionieri italiani da parte francese

 

Il trattamento dei prigionieri italiani in mano alle forze della Francia libera fu completamente diverso rispetto a quello inglese e americano. Questi ultimi infatti rispettarono, pur forzandoli, i trattati internazionali a difesa dei prigionieri, i francesi al contrario diventarono presto noti tra i prigionieri italiani per lo scarso trattamento riservarono loro.

I militari italiani catturati venivano raccolti in campi provvisori, senza essere divisi dai tedeschi aggravando così il clima all'interno dei campi (specialmente dopo la resa dell'Italia nel settembre 1943). Alcuni giorni dopo la cattura, i prigionieri venivano smistati verso campi permanenti. La maggior parte degli italiani furono condotti in campi di prigionia in Marocco e Algeria. Erano condotti lontani dai loro luoghi di cattura, dove i francesi temevano potessero contare sulla locale comunità italiana o su sentimenti antifrancesi tra la popolazione araba. Il trasferimento dei prigionieri avveniva a piedi, sottoponendo i prigionieri a marce forzate per raggiungere i campi d'internamento. Marce che potevano superare gli 800 km. I comandi militari francesi utilizzarono campi di prigionia già esistenti in nord Africa, in alcuni casi come il campo a sud di Orano, risalenti alla prima guerra mondiale: localizzati in aree remote, lontani da città e villaggi. Il trattamento offerto dai comandi francesi era ben distante da quello sancito dalle Convenzioni di Ginevra. Privati di indumenti, di vestiario e di ogni bene personale, i prigionieri italiani furono oggetto di violenze e sevizie da parte del personale vigilante. Gli abusi perpetrati esasperarono le condizioni dei prigionieri, già precarie. Le testimonianze dei sopravvissuti insistono soprattutto sulla scarsità di viveri. Il malcontento spinse molti prigionieri a tentare la fuga o il suicidio. Un reporter francese scrisse che le fughe verso i campi americani avevano raggiunto una “proporzione epidemica”, a causa delle collusioni americane nel gestire i prigionieri evasi. Il tasso di mortalità nei campi di prigionia francesi fu, per questi motivi, molto più elevato rispetto a quelli inglesi e americani. Dei 41.327 italiani catturati dai francesi solo 37.500 tornarono in patria. Oltre 3.000 prigionieri italiani morirono in nord Africa, il 7,3% del totale dei prigionieri detenuti. Le condizioni di sussistenza a cui furono sottoposti non cambiarono dopo la firma dell'armistizio. I francesi non chiesero ai prigionieri di collaborare, venendo senza distinzioni utilizzati per i lavori forzati. Furono infatti adibiti a lavori svolti precedentemente dagli operai indigeni nel settore agricolo, industriale, edile e minerario. Anche nell'impiego in imprese private i prigionieri italiani denunciarono ingiustizie e sfruttamenti. Il trattamento dei prigionieri italiani da parte francese era anche conseguenza del rancore covato da anni di politica antifrancese portato avanti dal regime fascista e, soprattutto, della “pugnalata alla schiena” del giugno 1940 avvenuta con la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Francia, proprio nei giorni in cui quest'ultima era assediata dalle truppe tedesche.

 

I dati del parmense


Prigionieri del parmense detenuti dai francesi in nord Africa.

 

I prigionieri del parmense catturati dai Francesi formano il 10% del totale, catturati tutti in Africa settentrionale. Di questi 102 prigionieri, solo 4 vennero catturati prima del 6 maggio 1943. Anche in questo caso, come nel caso degli americani, i soldati italiani furono catturati in un arco di tempo molto ristretto: tra il gennaio 1943 e la capitolazione delle truppe dell'Asse a Capo Bon. L'economia locale aveva una mancanza di manodopera in quegli anni, la qual cosa spinse i comandi francesi a richiedere una parte dei prigionieri catturati dagli inglesi e dagli americani. La cessione di soldati italiani avvenne durante le offensive di gennaio-febbraio 1943. Dai dati del parmense si nota che i catturati avevano spesso fatto parte della stessa compagnia. Si trattava di un gruppo di prigionieri molto omogeneo: giovani, l'età media era di 25 anni al momento della cattura.

I prigionieri del parmense, come il resto dei soldati italiani, subì dai francesi un trattamento spesso ostile. Giovani e non graduati, i 102 soldati catturati in nord Africa, furono internati nel 93% dei casi tra Marocco, Algeria, Tunisia. Di questi tre paesi la fetta maggiore di prigionieri venne detenuta in Algeria (69%). Catturati in Tunisia, i soldati italiani furono condotti lontano per paura che potessero contare sulle simpatie della popolazione araba. Inoltre la presenza di una comunità italiana filofascista suggeriva l'evacuazione dei prigionieri italiani dalla zona. Solo l'11% dei prigionieri del parmense restò in Tunisia, nei campi intorno a Biserta e Tunisi. Per raggiungere i campi di detenzione in Algeria e Marocco i militari italiani furono spesso condotti attraverso marce forzate nel deserto che portarono ad un numero imprecisato di morti e di violenze da parte dei soldati francesi. A differenza degli altri comandi Alleati i francesi non divisero nei campi di concentramento i soldati tedeschi dagli italiani, ma divisero i graduati dalle loro truppe. I sette graduati del parmense (Casubolo Domenico, Rudini Angelo, Cagnolati Amilcare, Benecchi Arnaldo, Lisoni Ernesto, Zanetti Achille, Catinella Salvatore, Eboli Pasquale) furono tutti internati nel carcere di Saida, campo d'internamento si trovava a 120 km a sud di Orano.